lunedì 24 ottobre 2016

26 ottobre 2016 _Casarsa (Pordenone) ore 20.30 Nicola Borgo presenta un libro su Pasolini insegnante



Mercoledì sera Nicola Borgo presenterà a Casarsa (PN) un libro sull’attività educativa di P. P. Pasolini durante gli anni trascorsi in Friuli.
Pubblichiamo qui sotto una parte dell’intervista a Turoldo su Pasolini che potrete leggere integralmente  sul sito del “Centro Studi Pier Paolo Pasolini”:  http://www.centrostudipierpaolopasolinicasarsa.it/molteniblog/ppp-nel-ricordo-di-turoldo-intervistato-da-stefano-bottarelli-1987/


 Borgo - Nosella - Begotti
 Borgo - Nosella
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Nel 1987, a Fontanelle di Sotto Il Monte (Bergamo), Stefano Bottarelli, allora laureando, ebbe modo di incontrare David Maria Turoldo e di ascoltarne le acute e appassionate riflessioni su Pasolini, che al padre servita fu figura sempre cara di amico, poeta e pensatore in sintonia. Ne nacque un’intervista registrata al magnetofono che, poi trascritta e controllata dallo stesso Turoldo, fu pubblicata dalla rivista “L’immaginazione” (Manni ed.), con prefazione dello stesso Bottarelli, mentre ancora nel 2011 ne fu presentato il testo da Renzo Salvi della Rai alla festa patronale dell’Eremo di Sant’Egidio di Sotto Il Monte.

Qui di seguito (due testi: l’introduzione del curatore Bottarelli e) il ricordo pasoliniano di padre David per il “fratello ateo” Pier Paolo.


Pasolini, poeta inquieto, solo e innocente.
    Il ricordo di David Maria Turoldo 

I miei rapporti con Pasolini sono improntati ad una grand’amicizia e ad una reciproca stima: siamo tutti e due friulani, siamo di comuni confinanti, perciò io sapevo di lui fin dalla sua giovinezza; tanto più, poi, dopo che a lanciarlo nel mondo letterario, a presentarlo come un nome su cui riflettere e cui riferirsi, è stato un sacerdote friulano, don Giuseppe Marchetti. Quindi, attraverso quelle vie mi è stato possibile un accostamento abbastanza personale, con il godimento appunto dell’amicizia e della stima.
   Io so che alla fine della sua vita, pochi giorni prima che avvenisse la grande tragedia (era in Svezia), a degli amici comuni diceva: «Adesso torno in Italia e devo cercare di trovarmi con Padre Turoldo». Dopo, invece, è avvenuto quello che è avvenuto, e non ci siamo più incontrati.
    Io so che ha preso visione del mio film, ne ha scritto in merito: lo ha apprezzato moltissimo; e io i suoi, naturalmente! Sì, ho fatto il film Gli ultimi, di vita contadina.           Soltanto, lui avrebbe voluto che io portassi l’acquiescenza del mondo cittadino ad uno stato di ribellione, di rivoluzione; magari forzando la storia della campagna.        Ma nella campagna non succede mai nulla, c’è la pazienza e la rassegnazione nella campagna; si vivono le stagioni con pazienza e fatalismo; mentre le rivoluzioni scoppieranno sempre in città: questo è stato uno degli oggetti della nostra discussione, della dialettica che ci ha infervorato reciprocamente…
    E alla fine, al di là della tragedia, sono stato l’unico prete ai suoi funerali! Ho scritto anche la lettera alle due madri, alla madre di Pasolini e a quella dell’assassino di Pasolini. Si trova nel mio libro Alle porte del bene e del male, dove dico anche il mio giudizio sul cupo evento.
    L’ho accompagnato attraverso la sua Casarsa, in mezzo a migliaia e migliaia di persone, dietro quei funerali così tumultuosi! Ho pregato con lui e per lui, sapendo benissimo quello che era stato il suo animo, rispetto anche alla fede e alla religione. Tutto questo fa parte dei miei rapporti personali con Pasolini.
Una presenza che io non ho mai dimenticato, un’amicizia di cui mi onoro. E vedo anzi che, man mano che il tempo passa, avvengono due cose: la purificazione della figura di Pasolini, liberata da tutte le immondizie di cui è stata fatta carico in vita e  soprattutto in morte, e la sua presenza che diventa sempre più obbligata in tutto il mondo della cultura, non soltanto italiana, ma europea, e anche altrove.
Naturalmente, a suo modo, era un profeta; era un anticipatore, uno che sapeva benissimo definire le categorie emergenti della nuova coscienza individuale e nazionale, e di tutta la cultura.
E’ lui che ha inventato la categoria della «gente del Palazzo», è lui quello delle «lucciole: prima delle lucciole e dopo le lucciole»; è lui che inaugura «la questione morale» per tutto il paese, portandola a uno stato incandescente, indicendo un pubblico processo ai partiti, eccetera. Famosi, per questo, i suoi Scritti corsari e le sue Lettere luterane. Tutte cose da tener presenti, perché la figura è molto, molto ricca e complessa.
Mi conforta che il tempo, fino adesso passato, non lo abbia esiliato; al contrario, lo ha reso ancora più presente: segno buono; piccolo segno, per poter sperare. Tra gli scritti della sua giovinezza, – forse una delle cose migliori -, l’ “Academiuta” di Casarsa è stato il primo tentativo di immettersi nelle lingue tagliate, dando dignità di cultura al mondo degli umili. Il Friuli per lui rimarrà, nella sua mitologia, una specie di Eden da dove è cacciato, e al quale sogna sempre di tornare. Di questo sogno sono vestigia le due versioni della sua tematica lirica: la Meglio gioventù e la Revisione della Meglio gioventù.
E’ qui quello che era per lui il Friuli di prima: appunto una specie di Eden irreale, lontano, irraggiungibile; e quanto viene mutato nell’usura del tempo, rispetto al suo sogno di purezza. Questo era nei suoi confronti il Friuli.
Bisognerà pertanto mettere in risalto che ha cominciato con la lingua friulana, con le parabole friulane. Fin che era in Friuli, faceva addirittura la «catechesi marxista» ogni domenica al popolo, sotto la loggia del comune. Egli non era solo un insegnante di scuola elementare, ma era un insegnante di popolo, raccoglieva tutta la gente che voleva nel porticato di Casarsa, e a forma di parabola esponeva tutta la vita politica e sociale del tempo. Le sue parabole in friulano sono, letterariamente, sulla forma delle allegorie evangeliche; un suo vangelo a suo modo; esemplarissime: una delle cose più delicate e belle; e anche meno conosciute. E’ la pre-cultura, la pre-formazione, punto cardine della pedagogia di Pasolini. Dopo, naturalmente, diventerà quello che diventerà sul piano nazionale e sul piano europeo.
    Forse sarebbe utile parlare di più della sua indole. E’ vero che lui si dice ateo, agnostico; è però anche vero che era un missionario, che il suo io è un io totale e totalizzante, coinvolgente; non c’è mai distinzione fra lui e la letteratura. La sua letteratura è la sua vita, è la sua stessa vita un evento letterario. L’ io è al centro di tutta la sua storia, di tutto il suo universo: perciò è sempre travolto. Non c’è distinzione tra la sua avventura e se stesso: lui è la sua parola, il suo scritto, il suo annuncio. Questo, per dire di che carica era: una carica a tempo pieno, a piena esistenza.
    Secondo me, una delle chiavi di lettura di Pasolini, è la chiave «religiosa»; lo dico tra virgolette, per indicare specificità e importanza. Era un missionario, si sentiva in missione; aveva un compito, quello di denunciare il male. Ha sempre sognato la liberazione dal peccato, e non poteva che essere peccatore, e grande peccatore! Il senso del male in lui è tragico. Ha sempre sognato una chiesa che lo salvasse, pur avendo rinunciato a qualsiasi chiesa. Infatti alla fine rinuncerà anche alla chiesa marxista (Le ceneri di Gramsci, Addio compagni non più compagni, eccetera).
Egli sente che c’è qualcosa che trascende, che non si esaurisce. E’ un arrabbiato perché non può trovare un’autentica chiesa; è un arrabbiato, perciò è senza un suo vero partito. Arrabbiato perché non trova il paese che sogna; arrabbiato perché non c’è crescita di umanità. E’ soprattutto arrabbiato con se stesso perché sa di essere lui un essere sbagliato … Perciò si fa autoflagellatore, e autocensore, e autodenunciatore, e autodistruttore; devastatore di tutti i pudori, di tutte le proprie riserve. E si fa uomo senza pudori e senza riserve. Credo che questo sia un buon nucleo da cui partire per dare più profonde interpretazioni: sia della sua poetica, sia dei suoi film, sia di tutto il resto. E’ un’anima religiosa senza religione; un credente senza fede; un’anima inquieta perché non trovava assolutamente il punto folgorante e totalmente persuasivo di tutte le cose che cerca. Era addirittura l’immagine dell’inquietudine universale: sempre travolto dalla sua carica moralistica. Si dica quello che si vuole, forse, pur nel suo peccare quotidiano, era uno dei più innocenti, dei più puri. Nessuno ha sofferto più di lui la sua condizione, e nessuno ha pagato come lui per essere tale.

    Circa le Ceneri di Gramsci, non dico nulla. C’è tutta una letteratura in merito. Dico solo che lui ha cercato subito «il docente» in Gramsci.  Ma mentre sente il grande esemplare che è Gramsci, quale analizzatore della coscienza popolare, dei moti di cultura che si sviluppano nella dialettica storica e spirituale di un popolo, così egli vuole continuare, andando ben oltre. Donde, appunto, le «ceneri» di Gramsci.
Certo, la crisi dell’invasione sovietica dell’Ungheria è stata sconvolgente, una specie di terremoto delle coscienze. E però è stata anche rivelatrice di tutta una situazione ormai in declino e non solo in confronto con il mondo del comunismo reale. Un fatto che ha scosso in questa situazione, ma che non ha scosso a sufficienza.
Le delusioni che si possono avere nei confronti dei paesi dell’Est, oggi si possono, per esempio, avere anche per i paesi dell’Ovest. La sconvolgenza dell’invasione dell’Ungheria oppure della Cecoslovacchia può essere pari alla gravità della situazione del Salvador, a quella del Nicaragua, a quella del Guatemala, ecc. Ma allora le coscienze erano ancora in stato di meravigliarsi, di scuotersi; ora invece non si «meravigliano» più di nulla. Voglio dire: mentre condivido la rivolta degli intellettuali nei confronti dell’Ungheria e della Cecoslovacchia, non condivido certamente l’acquiescenza degli intellettuali, degli stessi intellettuali, – cosa che non avrebbe mai fatto Pasolini -di fronte all’identica situazione di martirio e di olocausto delle genti dell’Ovest: appunto, del Guatemala, della Bolivia, del Cile, dell’Argentina, delle madri dei «desaparecidos», di cui è pieno il mondo occidentale.
Fino a che punto fosse autentica quella rivolta degli intellettuali di fronte all’Ungheria, possiamo ora giudicarlo. Mentre Pasolini rimane comunista, rimane un compagno, crede ancora in quella direzione; egli ha una visione molto più realistica e libera di tutti gli altri intellettuali. Pasolini non si sarebbe mai venduto a questi schieramenti politici nati dopo, che sono di una povertà, di uno squallore e di un pragmatismo unico. E’ vero che sentiva anche lui il franare delle ideologie, ma non sarebbe mai finito nel pragmatismo; tantomeno in questo pragmatismo, ora perfino socialista e religioso. Tanto, per dirti in che quadro inserirei questi problemi e in che vastità si dovrebbe rileggere tutto quello che è avvenuto e che sta avvenendo.
Sia Le ceneri di Gramsci, sia La religione del mio tempo, sono, naturalmente, testi fondamentali. Pasolini parla di un errore necessario, errore religioso: è sempre il paradosso una delle chiavi di lettura di Pasolini. Per quanto riguarda i rapporti, a volte di aspra polemica, fra il poeta e la critica letteraria italiana, penso agli Epigrammi. A proposito, su questo argomento ci sarebbe da fare un accostamento molto bello fra Montale e Pasolini. Montale è l’anti-Pasolini per eccellenza, come Pasolini è l’anti-Montale per eccellenza. Sono i due estremi della cultura italiana. Io però preferisco un Pasolini a un Montale, nonostante quel che si va celebrando, in consumi di incensi a non finire. Uno è l’indifferenza assoluta e l’altro è il coinvolgimento e la passionalità assoluta. Allora qui abbiamo le due possibili letture della cultura italiana, e soprattutto la spiegazione di questi famosi Epigrammi di cui si è tanto parlato.
I miei rapporti con Pasolini, l’ho detto, sono continuati sino alla morte, e anche dopo; pur senza la frequentazione che avremmo desiderato. Quando avveniva, ci vedevamo molto volentieri; ma non è che ci siamo incontrati spesso, in senso fisico; anche se io ho condiviso molto di più di quanto ho potuto dimostrare.
Sul mondo politico italiano, bisognerebbe leggere i suoi articoli apparsi sul «Corriere della Sera», dove cercava di portare avanti addirittura un’istruttoria per un processo alla Democrazia Cristiana, interessantissimo; dove il comunismo restava – secondo lui – l’unica speranza contro il cancro spaventoso e corrompente che era la Democrazia Cristiana. (In realtà era che non solo di Democrazia Cristiana si trattava). Gli articoli che lui scriveva sul «Corriere della Sera» sono emblematici, al fine di un giudizio su tutto il mondo politico italiano di quel tempo.
Dicevo che Pasolini non ha mai potuto staccare la letteratura dalla vita, la vita dalla letteratura, perciò è finito come è finito. Non poteva che finire che così.

Fontanelle di Sotto Il Monte Giovanni  XXIII, 16 agosto 1987. (10)

Note

  9. David Maria Turoldo, Ultime poesie (1991 – 1992), Milano, Garzanti, 1999, p. 187.


10. La testimonianza di Turoldo è stata raccolta su magnetofono in uno studio del Centro ecumenico “Giovanni XXIII” dell’Abbazia di Sant’Egidio, a Fontanelle di Sotto Il Monte (Bergamo), dopo la Messa delle ore 10 di domenica 16 agosto 1987, celebrata dallo stesso Turoldo. Il testo, dattiloscritto dal curatore e spedito al servita, è stato ricambiato da un altro dattiloscritto con radi ritocchi in penna stilografica probabilmente dello stesso Padre, qui integralmente accolti.






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